Il testamento di Cassiodoro

“Quando Cassiodoro metteva a disposizione dei suoi monaci eremiti la sua proprietà sulle colline del Monte Castello, immaginava che proprio lì sarebbe poi sorta l’attuale Squillace?
Nel capitolo XXXII delle Istitutiones, che si può considerare il suo testamento, dopo preziosi avvertimenti riguardanti la pietà, lo studio e l’obbedienza, ordina ai monaci di ospitare i pellegrini, di far elemosine, di vestire gli ignudi, di dar pane agli affamati e poi ricorda come debbano essere trattati ed educati i contadini  addetti ai lavori campestri. È una pagina di tale importanza sociale che, se fosse stata praticata in tutto il continente, non si sarebbero avuti nei secoli seguenti i drammi dei servi della gleba.
Egli ordina di prendere cura di loro, di avviarli ai buoni costumi, di non gravarli di nuove tasse perché nel Vangelo sta scritto: “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero”. Quindi, traccia un programma pratico nei confronti di questa umile categoria di lavoratori: “… Sia a essi ignoto il furto … e sia del tutto sconosciuto il soggiornare nelle selve. Vivano nell’innocenza dei costumi e nella santa e avventurosa semplicità. Si educhino a conversare con sincerità, riunendosi assai di sovente presso i santi monasteri affinché non si vergognino di appartenere a voi, riconoscendosi tanto dissimili dalla vostra maniera di vivere. Sappiano che il Signore allora si degnerà di fecondare i loro campi quando con fiducia di continuo lo invocheranno …”
Dunque, sul Monte Castello, già al tempo di Cassiodoro esisteva, da lui voluta, una grande famiglia di religiosi e di lavoratori che, stretti in un vincolo di devota e affettuosa amicizia, dovevano dare origine a un nucleo che, a poco a poco, specialmente quando i Barbari, venuti dal Nord e dal Sud, desolarono le coste joniche, andò incrementandosi.
“… Vi è stata data una città ch’è tutta vostra, o religiosi cittadini, dove, se con l’aiuto del Signore vivrete in santa Pace, serbando lo spirito religioso, riceverete anche in questa vita un pegno dei godimenti della patria celeste …”
Era il monito prezioso che Cassiodoro lasciava alla nuova Squillace, alla rinascente città che dalle sponde dello Jonio si trasferiva sul Monte Castello per trasformarsi nell’attuale Squillace, la quale legittimamente può considerare il grande statista e Monaco suo fondatore, come S. Benedetto lo fu di Cassino e S. Bruno di Serra …”.

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  1. CODISPOTI, Skilletion-Scolacium-Squillace e Cassiodoro, Chiaravalle Centrale 1978, pp. 217-218.
  2. CASSIODORO, Istitutiones, in MIGNE, Patrologia Latina, cit. voll. LXIX, LXX; – Il termine “coloni “, pur riferito in modo specifico al nucleo di cittadini che lavoravano le vaste campagne dei Monasteri cassiodorei, va inteso in senso più vasto per tutti i cittadini che nel tempo si insedieranno attorno o all’ombra di essi, formando le prime aggregazioni cittadine dell’Alto Medioevo. E non solo dei servi della gleba, se si guarda a tutte le sofferenze e a tutte le lotte vissute dai lavoratori di tutte le epoche e di tutti i popoli. Veramente ai tempi delle Istitutiones: scritte intorno al 554 (GOBRY, cit., p. 1210) o 555 o al massimo nel 562. (O. DONNEL, cit. p. XVI), cioè mezzo secolo prima della lettera del 598 di S. Gregorio Magno al vescovo di Squillace, Giovanni.